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Certificazione di genere: un passo per ridurre il gender gap

A gennaio 2024 Mestieri Toscana ha ottenuto la certificazione di genere. Si tratta di una certificazione, introdotta dalla legge 162/2021 e normata dalla UNI/PdR 125:2022 che il Ministero delle Pari Opportunità ha recepito con decreto del 29 aprile 2022, che le cooperative possono richiedere, agli organismi accreditati, per attestare che la propria organizzazione sia conforme ai principi di parità tra i generi.

Vari sono i parametri chiave (i cosiddetti “KPI”) che vengono tenuti in considerazione e che prevedono, tra gli altri, la definizione di una politica di parità di genere aziendale, l’implementazione di un sistema di gestione e la nomina di un comitato guida per la redazione di un piano strategico dettagliato. A Mestieri Toscana il comitato guida è composto da tre persone. A loro i dipendenti e le dipendenti possono fare riferimento per segnalare eventuali problematiche.

I parametri si riferiscono a sei aree: cultura e strategia; governance; processi di gestione del personale; opportunità di crescita in azienda neutrali per genere; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Per ogni indicatore è previsto un punteggio che viene attribuito in caso di soddisfacimento: più indicatori hanno punteggi positivi e più l’organizzazione è in linea con le condizioni di parità di genere. Il rilascio della certificazione si ottiene con il soddisfacimento sia dei requisiti organizzativi che da un punteggio complessivo (somma dei risultati dei KPI delle diverse aree) che dia un risultato di almeno 60/100.

Ma raggiungere la certificazione è solo l’inizio del percorso, perché l’obiettivo finale è il miglioramento continuo degli indicatori. Le attività e i parametri collegati alla certificazione vengono infatti verificate annualmente.

Ma non si tratta solo di un adempimento burocratico. Per le organizzazioni che vi aderiscono sono previsti incentivi importanti che vanno dai vantaggi fiscali fino a 50mila euro all’anno, a ‘premi’ nei bandi pubblici e sgravi contributivi. Si possono ottenere, infatti, un punteggio aggiuntivo per l’aggiudicazione di un bando di gara rientrante nell’ambito del Pnrr o del Pnc o meccanismi e strumenti di premialità in tutti gli appalti pubblici, se previsti.

La nostra – spiega Elisabetta Mazzetti, Presidente di Mestieri Toscana – è stata una scelta molto sentita. È noto infatti che la parità di genere sia motore di crescita economica e di sviluppo e che le aziende più inclusive sono in grado di creare un valore più elevato”.

Il lavoro femminile, come misurato da molteplici organizzazioni internazionali, rappresenta infatti un contributo diretto alla formazione di PIL e alla creazione di crescita economica. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale se le lavoratrici fossero numericamente pari ai lavoratori, in Italia il PIL aumenterebbe dell’11%.

A questo si aggiunge poi che, la partecipazione delle donne alla vita economica e alle decisioni economiche e politiche, comporta un allargamento di prospettive che è essenziale per spingere l’innovazione e la performance.
A queste motivazioni si somma poi l’aspetto collegato al far parte di una rete. Accanto agli indicatori, la certificazione individua tutta una serie di azioni che si possono compiere per migliorare la propria performance di genere: come l’attuazione di politiche a sostegno della genitorialità che vanno dalla creazione di un asilo aziendale, alla paternità facoltativa retribuita, fino alla maternità pagata al 100%.

Per il momento – conclude Massimo Sogni, responsabile del sistema di gestione per la qualità – il nostro obiettivo è spingere, nell’arco di qualche anno, verso la parità tutti gli indicatori, ma la certificazione ci consente di tenere gli occhi aperti sui miglioramenti che possiamo fare. Ci fornisce infatti tanti stimoli per ridurre al massimo il divario di genere”.

Uno sguardo nazionale

Questo tipo di certificazione si inserisce in un quadro nazionale in cui c’è ancora molto da fare dal punto di vista della parità di genere. Secondo il Global gender gap 2023, redatto ogni anno dal World Economic Forum, l’Italia si trova al 79esimo posto (era al 63esimo nel 2022), su 146 paesi considerati. La situazione peggiora se si tiene conto della sola variabile economica: in quel caso ci si attesta al 104esimo posto.
Il basso tasso di occupazione femminile in Italia è un dato noto. Nel 2018 (popolazione 15-64 anni) è stato pari al 49,5% (Istat), un valore quasi stabile nell’ultimo decennio. Il corrispondente tasso maschile è pari al 67,6%. Con questi valori l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa, seguita solo da Grecia e Malta.

Nel contesto italiano, inoltre, esistono settori occupazionali tipicamente maschili, come l’industria e le costruzioni (rispettivamente 71% e 89% di uomini), e settori con prevalenza di occupazione femminile, i servizi e in particolare sanità, istruzione, alloggio e ristorazione e attività artistiche (la percentuale di donne occupate in questi settori è circa il 50%).
Le donne sono meno presenti nei settori che risultano più remunerativi. Il processo di de-specializzazione che ha interessato l’Italia a partire dal 1993 ha favorito la partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Nel 2018, il 32,4% delle donne italiane occupate (15-64 anni, Istat) lavora part time contro solo l’8% degli uomini. L’Istat stima che il 60% del part-time sia involontario. Le donne che lavorano a tempo determinato sono il 17,3% del totale delle lavoratrici.
Nel marzo 2020 l’Unione Europea aveva predisposto il documento “Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025” definendo obiettivi politici e azioni chiave per raggiungere la parità di genere entro il 2025.
La strategia sarà attuata nel pieno rispetto del principio della intersezionalità così come è definito dallo European Institute for Gender Equality (EIGE), ovvero uno “strumento analitico per studiare, comprendere e rispondere ai modi in cui sesso e genere si intersecano con altre caratteristiche/identità personali e i modi in cui tali intersezioni contribuiscono a determinare esperienze di discriminazione specifiche”.

La parità di genere è anche tra i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) individuati dalla Nazioni Unite nell’Agenda 2030. Sono due in particolare i goal da tenere presenti: i 5, che si prefissa di raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze e il goal 10, con il quale si vuole ridurre l’ineguaglianza all’interno e fra le Nazioni.